giovedì 25 dicembre 2008

Appunti per una fenomenologa di FaceBook



Qualche decennio fa ci si scambiava l’indirizzo. Poi venne il telefono di casa, cui da giovani si telefonava con la certezza di passare attraverso il controllo burbero dei genitori. Poi il telefono personale e mobile: reperibilità in qualsiasi minuto e gli sms come strategia per manifestare in maniera meditata interessi, intenzioni, sentimenti. Oggi si chiede: sei su FaceBook? Ma cosa offriamo agli altri di noi su FB?
Certo, si sa: offriamo foto, pensieri, riflessioni, mettiamo addirittura la nostra rete di amici a disposizione dell’amica che ci ha appena chiesto di entrare in essa.
Eppure io mi riferisco ad altro. Come cambia la rappresentazione del proprio sé all’evolversi degli strumenti di comunicazione e di relazione con gli altri? La rete di FB è piatta: gli “amici” stanno tutti sullo stesso piano. Una persona che ci conosce per sentito dire si ritrova nella medesima lista del nostro amico del cuore. I sociologi direbbero che, per ora, FB, è indifferente al tipo di legame sociale, debole o forte che sia. Non solo. Mi ritrovo in contatto con persone che hanno oltre 2.000 amici: solo a ricordarli ci vorrebbe una segreteria efficiente come quella del più clientelare dei politici. Quindi la forza di FB non è (solo) nella moltiplicazione delle proprie reti sociali. E non penso sia solo in un mini website personale dove l’album delle foto, le proprie passioni, i post degli amici, un sistema di messaggistica personale e forum, i giochini con cui sfidarsi, e tutto il resto trovano uno spazio ben organizzato e intuitivo.
Io propongo di interpretare FB come uno strumento di racconto del proprio Io estremamente potente, il più potente e immediato che finora la tecnologia digitale ci abbia offerto.
L’ansia di autonarrazione del nostro tempo ha trovato uno sbocco nel social network. La socializzazione è importante almeno quanto il fatto che in ogni relazione noi cerchiamo un’occasione di racconto di noi stessi. Il racconto che offre FB ha una caratteristica: mentre quando conosciamo e rincontriamo una persona lasciamo in lui o lei delle impressioni frutto anche del suo lavoro soggettivo di interpretazione che vanno progressivamente a sovrapporsi per formare l’immagine che si avrà di noi, con FB possiamo presidiare un nucleo della nostra identità (foto, interessi, cause sostenute, ecc.) che vale per tutti, su cui vi può essere una certa inequivocabilità e un relativo controllo.
Non vedo d’altronde rischi per la privacy. O meglio: chi vuol far sapere agli altri il dettaglio della propria esistenza ritiene la privacy marginale rispetto all’obiettivo di sviluppare una identità quanto più ricca e sfaccettata da proporre alla comunità FB.
Resta centrale questa urgenza di cogliere l’attenzione altrui, di ricordare costantemente al mondo la nostra esistenza, di ricercare un’attenzione costante sulla propria vita minima.
Una bulimia di relazioni, di contatti, di informazioni, indizii di inquietudini ben più profonde e non risolvibili nel mondo digitale

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