domenica 4 novembre 2007

Che fine faranno i comunicatori?

Diciamo che finora vi sono stati tre modi di fare e di intendere la professione del comunicatore in Italia: l'organizzazione di eventi, la relazione con i giornalisti, l'elaborazione di idee più o meno "creative".
Come sempre si confondono i mezzi con le finalità della professione, grazie anche alla scarsa attitudine alla comunicazione dei committenti, i quali ti chiedono un evento per autocelebrarsi, di essere visibili sui media (con un'intervistona sul quotidiano prestigioso se possibile), di trovare qualche idea per distinguersi dal concorrente.
Se il quadro è questo inevitabilmente la selezione dei professionisti della comunicazione avverrà sulla base di amicizie, consorterie, parentele, simpatie, sentito dire e millanterie varie. E se funziona così allora conta più ingraziarsi potenziali clienti e operatori dei media piuttosto che puntare alla formazione dei professionisti interni all'agenzia. Di stagisti in gamba se ne trova a iosa: basta cambiarli ogni sei mesi. Perché far crescere qualcuno col rischio che diventi troppo bravo e accetti un ingaggio migliore? E da qui oggi non se ne esce, basta a dimostrarlo i tantissimi giovani comunicatori sottopagati.
In realtà l'unico modo per accreditare questa strana professione è quello che vado ripetendo da anni nei corsi post laurea e per manager: diventare consulenti capaci di comprendere e operare a livello di strategia aziendale e di individuare le forme migliori per comunicare i messaggi e i valori dell'impresa per cui si lavora, nella maniera più efficiente possibile.
Ma chi può guidare questa evoluzione? Non i grandi capi azienda del settore, e men che mai gli operatori dei media, i quali si propongono ancora oggi come l'unico intermediario verso i pubblici delle aziende.
L'evoluzione e la credibilità futura dell'essere comunicatori dipende solo dai giovani professionisti, da quanto vorranno lottare per affermare la loro professionalità.
L'alternativa è l'attuale, totale fungibilità, e la conseguente, inevitabile precarietà.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo, Biagio. Identificare valori e messaggi è probabilmente anche il primo passo per agire su (ed eventualmente cambiare) una strategia.

Troppi comunicatori non conoscono,però - per un limite spesso imposto dall'azienda stessa - come e perchè funziona quell'impresa.

Marino Petrelli ha detto...

Strategia, ma anche saper comunicare e snellire il "burocratese", come tu lo hai definito in una lezione del mio master pochi giorni fa. Ma, come ti dicevo in aula, c'è la volontà che il burocrate sappia e soprattutto voglia snellire queste pratiche? Non cambiare le "regole" è comodo per tutti, la novità sarebbe identificare nuovi modelli di comunicazione che portino a efficacia e successo per l'azienda/ ente pubblico. E naturalmente stimare maggiormente e valorizzare i buoni "comunicatori sottopagati" che ci sono in giro, e di cui forse anche io mi sento parte....